Description

Un piccolo capolavoro dimenticato: questa bella trasposizione delle avventure del Fu Mattia Pascal, eroe pirandelliano che tanto ha dato alla nostra letteratura. Tutto era nato da un accordo tra lo stesso Pirandello e L’Herbier, il quale aveva sancito la nascita del film. Per la sua realizzazione il regista francese si era avvalso di un grande divo di quei tempi, il russo Ivan Mosjoukine, uno di quei personaggi maledetti del cinema muto.
La strana unione tra L’Herbier, freddo e introverso, e l’attore russo diede tuttavia vita a un film scoppiettante, in cui tutta la capacità di sperimentazione dei due poteva avere ampio spazio. Del resto il romanzo pirandelliano era un vero e proprio invito all’innovazione, grazie ai temi variegati ed allo spessore psicologico dei personaggi e del protagonista in particolare.
Mathias Pascal, jeune intellectuel rêveur, se découvre ruiné. À la fête du village, il déclare sa flamme à Romilda et l'épouse. Mais rapidement, ne supportant plus la vie de famille, il fuit à Monte-Carlo, où il s'adonne au jeu. Une fois fortune faite, il retourne à son village où on l'a déclaré mort. Il part alors pour Rome et s'invente une nouvelle vie. Il tombe amoureux d'Adrienne, la fille de son logeur. Mais son double vient le hanter.
Ne Il fu Mattia Pascal realtà e finzione si mescolano, si confondono. Abbandonato l’assetto verista si presenta come un lungo monologo, un racconto svolto in prima persona di un “caso strano e diverso”, eppure espressione del “beatissimo dispregio d’ogni verosimiglianza della vita”. La scelta del tempo presente dà continuità e attualità al racconto dell’io narrante che è il personaggio nel momento dello svolgersi dell’azione. La focalizzazione soggettiva, cangiante e mutevole, presenta gli avvenimenti in una prospettiva di relatività, avendo disgregato di per sé l’oggettività naturalistica del fatto (Baldi, Giusso 1994). Le vicende del resto non sono narrate, ma vi è il tentativo da parte di Mattia di spiegare a sé e agli altri la bizzarria della sua sorte. Il romanzo si apre e si chiude con la profferta del nome, Mattia Pascal prima, il fu Mattia Pascal dopo, delineando immediatamente il tema centrale del romanzo, l’identità cercata dall’uomo e risoltasi proprio in quel nome che è “una cosa poco seria” (Non è una cosa seria), che non pareva molto a chi ignorava “che cosa voleva dire il non sapere neppure questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza: -Io mi chiamo Mattia Pascal”. E’ la storia del tentativo di fuga di un uomo incarcerato dalle trappole della vita della convivenza sociale, del suo tentativo di recuperare una vera identità al di là della forma, della maschera: “ io mi ero conciato a quel modo per gli altri, non per me. Dovevo ora star con me, così mascherato?”. Adriano Meis si riappropria della libertà negata dalle convenzioni sociali a Mattia, ma la libertà “così sconfinata” era anche “un tantino tiranna” e Adriano si ritrova “forestiere alla vita”, alla vita che “considerata così, da spettatore estraneo, pareva ora senza costrutto e senza scopo”; “e io non potevo più essere”.
Anche le piccole cose che ci circondano assumono significato solo all’interno di una cornice simbolica che ci permetta di dare loro un significato, significato che viene negato ad Adriano: “ogni oggetto in noi suol trasformarsi secondo le immagini che esso evoca e aggruppa, per così dire, attorno a sé. Certo un oggetto può piacere anche per se stesso; ma ben più spesso il piacere che un oggetto ci procura non si trova nell’oggetto per se medesimo. La fantasia lo abbellisce cingendolo e quasi irraggiandolo d’immagine care. Né noi lo percepiamo più qual esso è, ma così, quasi animato dalle immagini che suscita in noi o che le nostre abitudini vi associano. Nell’oggetto, insomma, noi amiamo quel che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi, l’anima che esso acquista per noi soltanto e che è formata dai nostri ricordi. Or come poteva avvenire per me tutto questo in una camera d’albergo?” Adriano Meis inizia a “penetrare il senso e a misurare i limiti” della sua libertà: “avevo già sperimentato come la mia libertà, che a principio mi era sembrata senza limiti, ne avesse purtroppo nella scarsezza del mio denaro; poi mi ero accorto che avrebbe potuto chiamarsi solitudine o noia, e che mi condannava a una tristissima pena: quella della compagnia di me stesso; mi ero allora accostato agli altri; e la vita, per quanto io, già in guardia, mi fossi opposto, la vita mi aveva trascinato con la sua foga irresistibile: la vita che non era più per me”. La libertà ha trasformato Angelo Meis in un’ombra, “un’ombra di un morto. Ma aveva un cuore, quell’ombra, e non poteva amare; aveva denari, quell’ombra, e ciascuno poteva rubarglieli; aveva una testa, ma per pensare e comprendere ch’era la testa di un’ombra, e non l’ombra di una testa”. L’uomo che sa di non essere uno scopre di non essere nessuno; l’uomo che non vuole rassegnarsi alla maschera non ha altro, non ha altra possibilità se non recitare il suo ruolo nel palcoscenico della vita, il setting Goffman (1959), sul quale a partire da significati condivisi ognuno deve recitare il proprio ruolo. “Fuori dalla legge e fuori di quelle particolarità, liete o triste che sieno, per cui noi siamo noi, caro signor Pascal, non è possibile vivere. Ma io gli faccio osservare che non sono rientrato affatto né nella legge né nelle mie particolarità. Mia moglie è moglie di Pomino, e io non saprei proprio dire ch’io mi sia”. L’uomo posto nell’impossibilità di indossare la maschera si ritrova nudo, “non crede più in una salvezza, neppure in quella della natura o dell’io […]; arriva alla disintegrazione totale dei ruoli e delle regole, della morale” (Querci, 1992, p. 29).

Titre

Feu Mathias Pascal

Titre Alternatif

Il Fu Mattia Pascal

Date

1926

Langue

Format

Adaptation cinématographique
2h, 58,46 mn
Copie tirée et mise en musique en 2009 grâce au soutien du Fonds culturel franco-américain au laboratoire L'Immagine ritrovata (Bologne) à partir d'un négatif d'origine conservé dans les collections de la Cinémathèque française et sauvegardé dès 1964. Il s'agit de la version d'exportation, soit l'élément le plus long qui existe de ce film. Le négatif de la version française avait été remonté et par conséquent raccourci, il n'est malheureusement pas conservé à ce jour.

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