Description

“La Pescheria è il quadro al quale Ettore Tito viene spesso accostato per esemplificare la sua opera, ma sono pochissimi i casi in cui viene correttamente ricordata la sua datazione e considerata la  sua storia. Dobbiamo infatti distinguerlo dal precedente premiato all’Esposizione Nazionale del 1887, con il quale invece vie­ ne sempre confuso (forse nella stessa accondiscendenza dell’artista, poiché anche i critici amici di Tito, quando egli era ancora in vita, hanno contribuito ad alimentare l’errore). In effetti i due dipinti sono varianti di uno stesso soggetto; la seconda, appartenente alla Galleria Nazionale, resa con una composizione più salda nell’architettura che tentava di risolvere i difetti messi in luce dalla critica nella prima versione e che per questo la sostituiva all’esposizione romana nazionale del 1893; sebbene il più antico avesse meritato al giova­ ne artista il premio che lo portò alla notorietà in Italia.
Confrontando il quadro della Galleria di Roma con la riproduzione d’epoca del precedente su “Esposizione Nazionale Artistica Illustrata”, una delle poche documentazioni illustrate rimaste di un quadro disperso, sono evidenti gli elementi variati e le soluzioni più moderne del secondo, soprattutto l’impostazione architettonica consolidata attorno alle diagonali dei pali e delle corde che a Ojetti davano “una vaga apparenza di trittico” all’insieme, poiché ne ritagliavano tre inquadrature accresciute nell’effetto fino sul primo piano, e nel­ lo sfondo da una ben più ampia fuga prospettica sul Canal Gran­ de, rispetto alla parete che invece correva sul fondo della prima versione. Questa impostazione rende l’effetto di coinvolgimento nella scena. Così nella voluta frammentazione, ridotta ma pur presente nella Pescheria del 1887, che proprio in quel quadro Tito aveva dipinta inizialmente, non solo si coglie la novità, di cui la critica ha allora evidenziato piuttosto i limiti al raggiungi­ mento dell’armonia scenica, ma la vivezza e il realismo di un angolo del mercato. Una seconda evidente variazione consiste nel­ lo sfondo.
Il Canal Grande nel quadro del 1893, “in una delle sue prospettive più gloriose, dalla Ca’d’Oro alla Maddalena” (Sarfatti), disperde il rumore del trepidante primo piano, mentre nel precedente dipinto il frastuo­ no delle trattative rimbalzava sul primo piano dai muri e le tettoie dello sfondo. Una fondamentale differenza ha fatto escludere la plausibile ipotesi che il secondo quadro fosse stato da Tito ridipinto sul primo, poiché non corrispondono le loro misure. Il quadro del 1887 è molto più grande. Il suo realismo, accresciuto nelle dimensioni, doveva aver sconcertato (cm 300 x 200, misure indicate nella scheda di notifica da Tito e conservata all’ ASAC, Fondo Storico, S 42: Esposizione Nazionale Artistica di Venezia, 1887). Non poteva la­sciare indifferenti tanta affermazione di vita tra la diffusa produzione di quadretti da souvenir raffinati, e tra le tante perfette ri­ produzioni del colorito locale tratteggiate con rigore positivista austro-tedesco, puntiglioso e monotono. Dunque non dovette offrire dubbi alla giuria d’ ammissione la scelta di quest’opera rispetto alle altre due, pur di qualità, presentate dal pittore. La fa la modela e Sul lago di Garda, quest’ultimo vincitore l’anno seguente della medaglia d’oro al Glaspalast di Monaco, rientravano nella più raffinata pittura di genere, pur offrendosi come opere di quali tà, ariose per toni e taglio.
La Pescheria era una prova monumentale, e per questa sua novità acclamata, della moderna osservazione del vero che potremmo accostare a Jules Dupré o a Bastian-Lepage in Francia, Tito “ha allargato i confini della propria arte, ha ampliato i confini delle proprie aspirazioni e rafforzato il proprio ideale estetico – non più lo schizzo, il quadretto, la macchietta: ma una scena popolare varia e complessa”. Tuttavia nel 1887 era ancora troppo ardua la sua scelta compositiva e si preferiva elogiarne i vari scorci come “splendidi quadretti” piuttosto dell’intera scena, così audace da apparire” farraginosa”,” un rime­ scolio di uomini, donne e pesci dove si frantuma l’azione e si perde l’assieme” scriveva il commentatore dell”‘Esposizione Nazionale Artistica Illustrata”. Ma “la confusione, il farraginoso è pur la caratteristica principale di una folla di mercato” che disorienta, come nel Rialto di Favretto alla stessa esposizione,” chi cerca il compassato e l’architettato in ogni cosa”, avvertiva l’accorto Luigi Chirtani.
Questi artisti dunque mostravano la loro impaziente ricerca di nuove vie espressive e un acume d’osservazione comunque riconosciuta a Tito nell’ efficacia delle figure e dei singoli scorci della Pescheria, ad esempio la donna a sinistra che affonda le sue mani paffute ed energiche tra i guizzi dei pesci in primo piano, muovendosi con esperienza, mentre le stringe il collo un vezzoso fazzoletto che connota la sua veste di acquirente, impegnata a testare la freschezza del pesce, piuttosto che quella di pescivendola. L’elogio dei “quadretti” che compongono il quadro dimostra l’abitudine che si aveva al bozzettismo e infatti Carnillo Boito giustificava in quella grande orchestrazione lo “sforzo di cogliere il carattere veneziano”. A Wìlly Dietrich, come a tutti i visitatori stranieri, piacevano i particolari di colore locale delle belle e smaliziate popolane che Tito sapeva rendere forse meglio di qualsiasi altro artista veneziano: come strascicano gli zoccoli rumorosi, come si abbigliano con negligenza, come sfilano con i loro visi “pallidetti e belli / che, in neri scialli avvolta la persona, / o dorati o corvini hanno i capelli. / E un rubisso di zoccoli insolenti I in un curioso tramestio risuona / e un taccolar di voci impertinenti”. Caratteristiche pittoresche, rese con la stessa evidenza aggraziata del pennello da Raffaele Barbìera, e che soddisfacevano il visitatore straniero poiché la libera disinvoltura leggiadra dei veneziani per le calli appagava l’occhio ottimistico e divertito dei figli di culture moderne e delle metropoli d’oltralpe che nel Grand Tour ricercavano radici antiche ma con ottimismo con­ temporaneo. Henry James spiega la fascinazione in cui resta catturato il sentimental traveller, “gratificato dalla visione di questa razza meravigliosa che vive con l’aiuto della propria immaginazione”, e consiglia ai suoi compatrioti e ai turisti stranieri dalle pagine dei suoi diari di viaggio, le celebri Ore ltaliane,”il modo giusto per godere Venezia: quello di seguire l’esempio di questa gente e procurarsi il massimo possibile di semplici piaceri”. Dovremmo dunque guardare la rossa che in­ cede in secondo piano dinanzi a una riedizione della Marietta del Museo d’Arte Moderna di Praga, nel ricordo dell’indimenticabile servetta dai” capelli rossi e la faccia bianca”,” in zoccoletti scapiccianti e uno scialle a mo’ di cappuccio, [che] svolazza all’interno di regioni impenetrabili” del palazzo delle signorine Bordereau in The Aspern Paper, con un atteggiamento a metà tra l’indagatore che si applica con metodo scientifico e il poeta, che dimostra anche Tito in questo quadro”. (AA. VV., Ettore Tito 1859-1941, Catalogo della Mostra a lui dedicata nel 1998 alla Fondazione Cini, Electa 1998, pp. 201-202). (Source Diarteedibellezza, consulté le 10 octobre 2024)

Titre

La Pescheria vecchia

Titre Alternatif

La vieille pêcherie

Éditeur

Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna (IT)

Date

1893

Format

Huile sur toile, 131 x 200 cm

Source

Diarteedibellezza.wordpress.com (consulté le 10 octobre 2024)

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